La teoria che il vegano possa essere considerato l’uomo post-moderno può essere opinabile*, al contrario, non esistono critiche che possano tener testa ai fatti: mangiare carni e derivati animali supporta l’incremento della fame nel mondo, al contrario, uno stile di vita vegan la contrasta.
I Fatti. Nel Sud del mondo vi sono vaste terre denominate “Ettari Fantasma”, qui il sistema Agro-alimentare occidentale produce mangimi o bestiame destinati a sfamare il ricco Nord. Si parla di milioni di ettari, dove vengono sprigionati abnormi quantità di azoto a causa dei pesticidi e dello stesso bestiame.
Cosa c’entra questo con la fame nel mondo? Un fatto inconfutabile, logisticamente non conviene trasformare alimenti vegetali in alimenti di origine animale (fieno, cereali —> mangimi —> carni, latte e derivati). Per comprendere questo fatto basterà pensare che un americano medio consuma in un anno 800 kg di cereali indirettamente, sotto forma di carne. Un africano medio, in un anno consuma solo 150 kg di cereali, nutrendosi in modo diretto.
L’industria della carne, per esistere ha bisogno di sfruttare intere aree geografiche. Il termine “sfruttamento” si riferisce al neocolonialismo, cioè quel “processo economico attuato da un pese industrializzato, tendente a creare o perpetuare un sistema di sfruttamento in un paese in via di sviluppo, pur senza esercitare su di esso un dominio miliare visibile“. In altre parole, l’industria della carne contribuisce al divario tra il Nord e il Sud del mondo. Paesi occidentali e paesi ricchi di miseria.
La Storia. Nel diciannovesimo secolo, con il colonialismo, nei paesi sottosviluppati venne imposto un tipo diverso di agricoltura orientata a produrre beni per i paesi già ricchi. All’epoca i prodotti esportati erano beni superflui come tè e caffè. Così i colonizzatori importavano le materie prima a basso costo sia in Europa che in America dove consentivano lauti guadagni. Oggigiorno, il modello appena descritto è ancora riscontrabile. Certo, oggi non vi è una tangibile occupazione militare ed è per questo che si parla di neocolonialismo.
Esempio Pratico. Il Bangladesh è un paese ricco di piccoli coltivatori e pescatori, fino a pochi decenni fa l’economia del Paese era autocentrata; gli abitanti vivevano dei propri prodotti. Le zone occupate da questi piccoli produttori erano particolarmente ghiotte per le società straniere. Le grandi lobby alimentari hanno sfruttato il territorio per la produzione di crostacei e i poveri contadini non possono permettersi l’acquisto dei crostacei prodotti proprio nelle loro terre perché destinati alle massicce esportazioni. Un effetto secondario della mano delle grandi industrie è stata la crisi ambientale che a cavallo tra il 1980-90 ha causato migliaia di vittime per le inondazioni: per allevare i gamberi venivano costruite delle vasche che compromettevano l’equilibrio della zona, in particolare causavano la rottura degli argini dei fiumi e la distruzione delle coste. Quello del Bangladesh è solo un esempio, la lista dei paesi sottosvilupati a causa dell’industria alimentare è molto lunga. Se ancora non avete capito il collegamento tra la produzione di carni e la fame nel mondo, il prossimo paragrafo sarà quello decisivo.
Qualche Cifra. Tutti coloro che hanno frequentato le scuole elementari hanno sentito parlare di catena alimentare: “Per nutrire un uomo per un anno ci vogliono trecento trote che a loro volta consumeranno 90 mila rane, che mangeranno 27 milioni di cavallette, che divorano 100 tonnellate d’erba“*. A questo punto dovrebbe essere chiaro che la catena alimentare delle industrie alimentari non ha niente a che vedere con le scienze naturali; piuttosto si tratta di un meccanismo che induce i paese in via di sviluppo a restare nella miseria così da ridurre oltre 800 milioni di persone alla fame. Il problema della fame nel mondo non riguarda la scarsità di produzione, ne’ la ripartizione di essa, piuttosto riguarda la specializzazione della stessa produzione.
La produzione, con il neocolonialismo, è portata a soddisfare l’egoismo delle classi sociali occidentali e a riempire le tasche delle lobby alimentari che non curano ne’ la salute pubblica ne’ il benessere del bestiame che spesso vive tra vermi e carcasse in putrefazione. Per risolvere il problema della denutrizione, è vero, non basterebbe ridistribuire i cereali utilizzati per l’alimentazione animale, ma bisognerebbe sfruttare gli Ettari Fantasma per una più adeguata agricoltura. Non si può andare avanti solo a pane ed acqua altrimenti si andrebbe incontro a problemi legati ad una malnutrizione –problema molto attuale negli Stati Uniti e in Italia con alti tassi di obesità infantile, soprattutto in Campania, legati ad un ipernutrizione da derivati animali-. Utilizzare gli Ettari Fantasma per una più ponderata coltivazione si può fare. Nello stesso periodo di tempo, su un ettaro di terreno è possibile coltivare:
-1.000 kg ciliegie
-2.000 kg di fagiolini
-4.000 kg di mele
-6.000 kg di carote
-8.000 kg di patate
-10.000 kg di pomodori
12.000 kg di sedano
oppure… solo 50 kg di carne.
Non si può vivere solo di frumento e cereali ma si riducono 800 milioni di persone alla fame e alla miseria per una manciata di chili di carne.
*Bisognerebbe considerare di più l’istinto di sopravvivena:
Con la produzione di carne e derivati animali si inquina di più, aumenta l’effetto serra. L’atmosfera si appesantisce e la VITA sulla Terra è destinata a finire prima.
Con un’alimentazione esclusivamente vegetariana si rispetta la natura, ogni forma di vita e l’ambiente. La VITA sulla terra è destinata a PERDURARE….
*La catena alimentare è tratta dal libro Energetics, Kinetics and Life. California 1971
*I dati sono stati tratti dal libro La Cucina Etica, edizione Sonda
Dedico questo post ad Alessandra Bonacina, amica e grande sostenitrice dello stile di vita Vegan. Grazie.
I commenti sono chiusi.