Artista sadico, fa morire un cane per protesta!

Si tratta di un allestimento artistico con un forte messaggio di denuncia. Il protagonista è un cane lasciato morire di fame. Vale la pena sacrificare la vita di un cane? Ma soprattutto, questa è arte?

ATTENZIONE | La verità su Guillermo Habacuc Vargas

Con Katinka Simonse, abbiamo già assistito ad una forma di arte “crudele“, infatti l'”artista” ridicolizzava le carcasse di animali e addirittura è arrivata a spezzare il collo al proprio gatto domestico per trasformarlo in una borsetta. Katinka Simonse si definisce una ragazza che ama gli animali. (Clicca qui per leggere l’intera notizia).

Il discorso è del tutto diverso per Guillermo Habacuc Vargas, artista famoso per aver organizzato un’esposizione del tutto sadica. Il protagonista del suo allestimento era un cane randagio, legato ad una corda. Il cane era visibilmente denutrito e al cane non era somministrato alcun tipo di cibo. Ancora più sadica è stata la scelta dell’artista di creare scritte con dei croccantini per cani, ma l’animale, essendo legato non poteva raggiungerli e così continuava la sua agonia.

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Ancora, lo stesso artista prese un astice vivo e lo mise in acqua bollente. I visitatori potevano osservare la morte dell’astice e potevano sentirne anche i sibili emessi dall’animale dato che nella vasca d’acqua bollente erano stati posti dei microfoni per amplificare il dolore dell’animale. Da questo allestimento è nato un vero e proprio spettacolo fatto di dolore: un regista argentino, Rodrigo Garcia ha trovato l’idea interessante e insieme ad un musicista ha ricreato il battito del cuore del crostaceo per proiettarlo insieme al sibilo di dolore emesso dall’astice.

Se le ideologie di Katinka Simonse sono più difficili da comprendere, Guillermo Habacuc Vargas ha dato una spiegazione. Purtroppo molti siti di animalisti, all’epoca, non si soffermarono sul significato delle opere, puntano il dito contro l’artista/carnefice e nessuno disse che il cane utilizzato per la mostra era un randagio già malato che, paradossalmente, “l’artista” dovette rimettere in sesto e rifocillare prima di lasciarlo morire di fame tra croccantini e in bella mostra. Ma questo giustifica l’artista? Certo che no! Allora quali sono le sue motivazioni?

Gulliermo Habacuc Vargas, con il suo allestimento ha voluto sottolineare l’ipocrisia della gente. L’ispirazione probabilmente l’ha presa da un avvenimento di qualche anno fa, si tratta di Natividad Canda, morto sbranato da due rotweiler. Il ragazzo aveva solo 24 anni e i cani hanno agito per due ore, l’hanno riempito di morsi fino a farlo morire. Natividad Canda poteva essere anche un senzatetto, la gente si è interessata a lui solo quando ha visto la sua morte impressa su pellicola, ebbene sì, qualcuno ha ripreso la brutale morte del ventiquattrenne.
Il tutto è accaduto proprio il mese di novembre del 2005. In Costa Rica. Il ragazzo è morto durante la corsa all’ospedale. Ma cosa c’entra questo con il più recente allestimento di Guillermo Habacuc Vargas? L’Ipocrisia. Un animale denutrito, esposto al pubblico agonizzante, è divenuto subito oggetto di dibattito, ma ogni giorno per strada muoiono molti randagi. Ecco come commenta lo stesso artista:

“Un animale in quelle condizioni diventa il centro dell’attenzione quando lo metto in una stanza bianca dove la gente va a vederlo, ma non quando è in strada a morire di fame. Alla stessa maniera è successo con Natividad Canda, la gente si è interessata a lui solo quando lo hanno sbranato i cani”

L’allestimento ha toccato il suo apice nel 2007 e aveva come scopo di mettere in evidenza l’ipocrisia della gente. La crudeltà sugli animali è una cosa orribile e non ha giustificazioni, tuttavia, se la gente non si sofferma sulle prime impressioni, in questo caso è malauguratamente riuscita a farci soffermare su una cosa: l’Ipocrisia.

Come con i randagi, ci sono, ogni giorno, migliaia e migliaia di Bambini Innocenti. Bambini che muoiono di fame, eppure nessuno di NOI fa niente, o comunque non fa abbastanza per cambiare le cose. Resta impassibile. Proprio come di fronte la morte di un randagio o di un senzatetto.

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