Anche se le dipendenze principali e più conosciute sono quelle riguardanti le droghe, esiste un altro gruppo di dipendenze legato a oggetti o attività non chimiche: è il caso per esempio della dipendenza dal gioco d’azzardo, da internet, dallo shopping, dal lavoro, dal sesso, dal lavoro e dalle relazioni affettive, che, ripetuti ossessivamente, fino all’estremo o in modo continuamente vano e insensato, smettono di svolgere il loro ruolo sociale per schiavizzare l’essere umano.
Tali dipendenze causano una perdita di controllo sulla capacità di scegliere, di saper dire no. Di questo tipo sono le dipendenze da sostanze e da oggetti (alcool, droghe, farmaci, beni di consumo), le dipendenze da persone (genitori, parenti, partner amorosi o sessuali, capi carismatici) o da situazioni (sesso, trasgressioni, eccessi, ecc.).
Quando si instaura la dipendenza patologica?
Quando si ricorre sistematicamente ad esperienze fuori dall’ordinario, stordenti o eccitanti, per evitare ansia, panico o depressione, per riuscire a mettersi in relazione con gli altri, per provare emozioni significative nei confronti della realtà o di se stessi, per mantenere un equilibrio psicofisico, per sentirsi all’altezza delle situazioni di vita e di lavoro.
Attenzione, però: non bisogna confondere una intensa attività o un uso intenso e smodato con la dipendenza: colui che sa comunque “gestire” i propri eccessi non è un dipendente, anche se è esposto a diventarlo.
Come facciamo a capire che siamo “dipendenti” da qualcosa o qualcuno?
Alcuni atteggiamenti che possono indicarcelo sono: l’impossibilità a resistere all’impulso di mettere in atto un certo comportamento; una sensazione crescente di tensione prima dell’inizio dell’atto e di perdita di controllo durante; ripetuti tentativi di ridurre o abbandonare il comportamento; reiterazione del comportamento nonostante la consapevolezza che lo stesso possa causare o aggravare problemi di ordine sociale, finanziario, psicologico o psichico; agitazione o irritabilità in caso di impossibilità a dedicarsi al comportamento.
Dipendenza affettiva patologica
Esistono persone, soprattutto donne ma sempre più anche uomini, che vivono la dedizione d’amore fino al limite estremo: sopportano sacrifici, angherie, maltrattamenti, si annullano per l’amato fino a “morirne”, non sempre solo in senso figurato.
L’amore può dunque essere considerato una psicopatologia? Ebbene, se la finalità dell’amore non è la crescita dell’Io o dell’amore stesso, ma piuttosto l’autodistruzione, abbiamo il diritto e anzi il dovere di parlare di una psicopatologia.
La dipendenza affettiva patologica nasce da una bassa stima di sé, da una mancata maturazione del sentimento di dignità e di valore personali, che possono derivare sia da esperienze infantili negative, sia da un giudizio morale riguardo a se stessi rigido e persecutorio, di tipo depressivo, più o meno nascosto.
La ricerca inesausta di conferme dall’Altro proviene dall’incapacità di darsele da sé queste conferme. L’Altro diventa così lo specchio e il nutrimento dal quale finiamo col dipendere.
Una relazione affettiva così fondata si basa su una disparità di fondo, che alla lunga non farà che creare malessere.
Dipendenza da sesso
La nozione di dipendenza sessuale a volte è confusa con la normale positiva, piacevole ed intensa sessualità goduta con il proprio partner o con la semplice alta frequenza dei rapporti sessuali. Alcune persone vivono degli eccessi sessuali, ma sono comunque in grado di controllarli e sanno valutare adeguatamente le situazioni in cui vengono a trovarsi.
I dipendenti sessuali, invece, hanno perso il controllo sulla loro capacità di dire no. Invece di approcciarsi alla sessualità come gioco, relazione, comunicazione, scambio di piacere, momento privilegiato dell’intimità , la vivono in modo ossessivo, relazionandosi ad essa per confrontarsi con il dolore, prendersi cura di sé, rilassarsi dallo stress. Tale ossessione trasforma il sesso nella componente primaria della loro vita per la quale tutto il resto viene sacrificato, inclusi la famiglia, gli amici, la salute, la sicurezza ed il lavoro.
Il loro comportamento sessuale è parte di un ciclo di pensieri, sentimenti ed azioni che non riescono più a controllare.
L’euforia prodotta dall’atto sessuale dura tanto quanto il rito sessuale. Ma subito dopo l’atto sessuale i dipendenti si sentono inebetiti, tristi, in colpa. Cessato l’orgasmo, queste persone sperimentano sentimenti di intensa disperazione e di odio nei propri confronti. La pressione esercitata dai loro pensieri negativi e i sentimenti di rimorso, vergogna e odio verso se stessi li portano al punto di ricercare il sollievo in modo assolutamente necessario. Come gli alcolisti cercano sollievo nel bicchiere, così i dipendenti sessuali lo cercano nel sesso e nel piacere che questo fornisce loro, stabilendo così il circolo vizioso di questa malattia che alla fine rende le loro vite impossibili da gestire.
Come conseguenza diretta, il soggetto che soffre di dipendenza sessuale può sviluppare disfunzioni sessuali, malattie sessualmente trasmesse o disturbi quali ulcera, pressione alta, calo delle difese immunitarie, esaurimento fisico o disturbi del sonno.
Dipendenza da rischio
“Andare all’estremo di se stessi”, “oltrepassare i propri limiti”, ecc., sono tutti comportamenti di sfida necessari per affrontare se stessi, sotto gli occhi degli altri. Attraverso la ricerca dei limiti, l’individuo indaga le proprie caratteristiche, impara a riconoscersi, a dare valore alla sua esistenza.
Affrontare un rischio diventa la sfida suprema: incantare simbolicamente la morte. Sfidarla, tracciando i limiti della sua potenza, talvolta cozzandovi frontalmente, rafforza il senso di identità di colui che accetta la sfida. Dal successo dell’impresa nascono un entusiasmo, una boccata di significati capaci di restituire all’esistenza, almeno per qualche tempo, delle basi più favorevoli. Sfidare la paura, sentirsi totalmente liberi, potenti e invincibili, assecondare il bisogno irrefrenabile di spingersi sempre oltre, il tutto accompagnato dalle alterazioni fisiche e mentali che le forti scariche di adrenalina e sensazioni ed emozioni intense riescono a produrre.
Nel corso degli ultimi dieci anni, si è riscontrato un aumento vertiginoso dei comportamenti rischiosi soprattutto tra gli adolescenti: sfrecciare ad occhi chiusi davanti ad un segnale di stop, non fermarsi ad un semaforo rosso, guidare contromano in autostrada, saccheggiare un negozio, lanciarsi nel vuoto appesi ad un elastico, arrampicarsi su muri e palazzi, tuffarsi in acqua da scogli alti e pericolosi, giocare alla famosa “roulette russa”, cavalcare i treni (surf metropolitano).
Tutti questi comportamenti che mettono in pericolo l’incolumità di se stessi (ma in realtà anche degli altri) permettono a chi li fa di sentirsi rassicurato sul fatto di esistere e di sperimentare una sottile posizione di dominio. In questo modo la morte cessa di essere una potenza temibile e imprevedibile per trasformarsi in una forza con la quale è possibile, fino a un certo punto, giocare, scommettere o con la quale negoziare e stipulare un patto.
Per i dipendenti dal rischio il tempo del pericolo è un tempo sacro, perché procura l’esaltazione, l’ebbrezza interiore di osare un’impresa in cui la vita è appesa a un filo. Proprio perché c’è la possibilità di perdere tutto, c’è anche quella di vincere tutto.
Dipendenza da gioco
Non esiste un profilo di personalità specifico particolarmente predisposto alla dipendenza dal gioco, bensì alcuni tratti che coincidono più o meno con quelli osservati in altri tipi di dipendenza, quali la mancanza di autocontrollo (responsabile di comportamenti impetuosi ed impulsivi), la bassa autostima e gli elementi che costituiscono la personalità limite, narcisistica e antisociale. Inoltre, il sovraccarico di stress, la sensazione di solitudine e la difficoltà di concentrare la propria attenzione sono fattori caratteriali o situazionali che facilitano l’insorgenza di tale dipendenza.
L’angoscia di sottostare alla vita comune, fatta di tempi lunghi e di fatiche, è tale da spingere questi soggetti verso la falsa “scorciatoia” e l’illusione di una vincita immediata e definitiva che li renda diversi dai “comuni mortali” e definitivamente “liberi”. Il disturbo che è al centro di questa dipendenza è una sorta di monomania, per la quale il gioco rappresenta una sfida alle norme e ai doveri vigenti e la vincita un piacere assoluto, che condensa in sé ogni felicità e separa radicalmente dall’angosciosa relazione con gli altri e con la società nel suo complesso.
Dipendenza da beni e acquisto compulsivo
La “compulsione all’acquisto” (la smania di comprare cose) si basa sul desiderio morboso e irrefrenabile di acquistare oggetti superflui o del tutto inutili, che spesso non riflettono i gusti abituali dell’acquirente, né tanto meno sono coerenti con le possibilità finanziare dello stesso, arrivando perfino a far andare in rosso i suoi conti economici.
Le cause di tale forma di dipendenza, sia negli uomini che nelle donne, sono molteplici: senso di solitudine o di vuoto esistenziale e le forme di personalità impulsiva, narcisistica e insicura. Gli oggetti acquistati dal compratore dipendente variano a seconda del sesso. Le donne di solito si indirizzano verso l’abbigliamento, gli indumenti intimi, le scarpe, i cosmetici e i gioielli, mentre gli uomini si lasciano affascinare dalle giacche, i computer, i video, gli impianti stereo e gli accessori per l’auto. Vi sono dipendenti che diversificano le proprie scelte mentre altri si concentrano esclusivamente su un tipo di prodotto. La maggior parte di queste persone tende a mettere da parte ciò che compra ed a volte finisce per regalarlo o buttarlo via.
L’analisi psicologica mostra che, il più delle volte, l’individuo affetto da questa patologia è stato vittima, in età precoce, di una grave mortificazione della sua vera e spontanea identità , e che quindi, divenuto adulto, ricerca tale spontaneità nell’illusoria libertà consentita dal mondo delle merci.
Cyberdipendenza (internet, cellulari, chat, socialnetwok)
La maggior parte degli studi condotti sull’argomento ha dimostrato che: molti Internet-dipendenti hanno già alle spalle significativi problemi emotivi o psichiatrici ancora prima di essersi mai collegati alla Rete (ad esempio, depressione, disturbi bipolari o anche ossessivo-compulsivi); molti Internet-dipendenti sono ex alcolisti o ex tossicodipendenti. In questi casi il ricorso ad Internet sembra strettamente collegato ad un tentativo di compensare le difficoltà relazionali reali, ricercando nella Rete amici o relazioni sentimentali attraverso una via più veloce e che consenta di superare le insicurezze che, invece, sono amplificate dalle quotidiane relazioni faccia a faccia.
Quali sono a grandi linee le vie che conducono all’Internet-dipendenza? Si può provare a schematizzarle così.
1) Prima fase: caratterizzata dall’attenzione ossessiva e ideo-affettiva a temi e strumenti inerenti l’uso della Rete, che genera comportamenti quali controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa giornata; una modalità di fruizione a “zapping” alla ricerca di programmi e strumenti di comunicazione particolari; prolungati periodi in chat.
2) Seconda fase: caratterizzata dall’aumento del tempo trascorso on-line (anche nelle ore lavorative e nelle ore notturne, in cui si è disposti a rinunciare anche al sonno) con un crescente senso di malessere, di agitazione, di “mancanza di qualcosa” o di “basso livello di attivazione” quando si è scollegati (una condizione paragonabile all’astinenza). E se inizialmente l’aspetto economico relativo ai costi di connessione poteva rappresentare un lieve fattore di inibizione di questa tossicofilia, oggi risulta pressoché irrilevante, date le numerose possibilità di rimanere a lungo collegati a basso costo.
3)Â Terza fase: in cui l’Internet-dipendenza agisce ad ampio raggio, danneggiando diverse aree della vita, quali quella scolastica/lavorativa e quella relazionale, in cui si rilevano problemi di scarso profitto, di assenteismo e di isolamento sociale anche totale.
Anche un uso eccessivo ed un attaccamento morboso al cellulare, possono creare forme di dipendenza che riflettono un generico disagio nell’instaurare sane relazioni sociali ed una tendenza all’estraniazione dal mondo reale.
Dipendenza dal lavoro
La dipendenza dal lavoro costituisce una delle tante forme di dipendenza lecita senza uso di droghe, descritta dagli specialisti come la più “pulita” delle dipendenze.
Molte persone evadono dai problemi relazionali o familiari, dal sentimento di vuoto interiore, buttandosi sul lavoro. Essi aggirano i problemi quotidiani. Il lavoro non ha più la funzione di garantire la base essenziale per sopravvivere, ma diventa una droga, che ci aiuta a superare le inquietudini esistenziali ed i problemi familiari.
Il dipendente dal lavoro avverte la forte necessità di dedicare la sua vita ed il suo tempo al lavoro a costo di ridurre o eliminare del tutto la vita familiare e personale. L’elemento della vita che generalmente si altera più precocemente a causa della dipendenza dal lavoro è proprio la vita familiare: mancanza di comunicazione tra i suoi membri, atteggiamento autoritario e spesso irato del soggetto dipendente.
Il dipendente vive per il suo lavoro e si sente desolato, vuoto, angosciato o irritabile quando ne è lontano, come succede in un giorno festivo e nei fine settimana. Pensa giorno e notte al lavoro, si sforza di trovare soluzioni ai problemi dell’azienda, che siano reali o immaginari, ha incubi su supposti errori commessi sul lavoro e fantastica sul migliore dei modi per affrontare il capo.
Altri tratti specifici del lavoratore patologico sono: l’iperattività , lo spirito di competizione e sfida, un forte spirito d’impresa, il desiderio illimitato di soddisfazione professionale, il culto dell’impresa e del lavoro, una relazione difficile con il tempo libero, la difficoltà a rilassarsi durante le vacanze ed il fine settimana, negligenza nella vita familiare, manifestazione di stress nel lavoro, un comportamento aggressivo e impaziente verso i colleghi di lavoro.
Sintomi psichici del dipendente possono essere stati di esaurimento, depressioni leggere, paure infondate e disturbi della concentrazione. Mentre i disturbi fisici si manifestano tramite mal di testa, mal di stomaco, disturbi cardiaci o disturbi circolatori.
Dipendenza da sport
C’è chi di fitness si ammala, nel senso che ne rimane schiavo a tal punto da esasperare gli sforzi e le sedute di allenamento mettendo a repentaglio la propria salute.
La dipendenza da sport è meglio conosciuta come overtraining che propriamente significa “eccesso di training”, ma il termine viene utilizzato per indicare una condizione clinica che andrebbe più correttamente definita come “Sindrome da Overtraining (OT)”. La “Sindrome da OT” è una situazione cronica, stabilizzata, per il cui recupero sono necessari mesi di riposo; è fondamentale infatti differenziarla dall’overreaching che è di breve durata (recuperabile con due settimane di riposo) e dal banale “senso di fatica” che perdura uno o due giorni dopo un sovraccarico di allenamento.
Come si genera l’overtraining?
Il nostro organismo ha bisogno di mantenere costanti nel tempo alcuni indici fisiologici quali: la temperatura corporea, la glicemia e lo stato di acidità del sangue. Quando ci alleniamo, mettiamo sotto stress il nostro corpo, perché questi parametri vengono modificati, e lo costringiamo ad adattarsi e ad elevare le sue prestazioni. Ciò non può avvenire in modo indiscriminato: occorre che ci sia un adeguato recupero tra una sollecitazione e quella successiva.
Oltre che da un’errata metodologia di allenamento, l’overtraining può essere determinato anche dalla monotonia degli esercizi, una cattiva alimentazione, lo scarso riposo notturno, un regime di vita non conforme alle norme sportive, l’uso di sostanze mediche pericolose, problemi di carattere personale, ecc.
In linea generale, i principali sintomi dell’overtraining sono:
- un eccessivo affaticamento per ogni minimo sforzo compiuto
- minore capacità di prestazione
- l’insorgenza di strane intolleranze alimentari
- nausea e disturbi gastro-intestinali
- abbassamento della frequenza cardiaca a riposo
- disturbi nel rapporto sonno/veglia.
A livello psicologico si registrano:
- scarsa concentrazione e tendenza a distrarsi
- poca voglia di allenarsi
- umore instabile
- irritabilitÃ
- abbassamento dell’autostima
- poca determinazione e scarsa capacità di autovalutarsi.