La fusione anticipata della neve ha reso ancora più grave l’emergenza siccità, mentre sugli Appennini la stagione della neve non è mai iniziata
La piaga della carenza cronica di neve su Alpi e Appennini, non sembra arrestarsi, anzi di anno in anno tende a peggiorare. L’equivalente idrico nivale, vale a dire l’indicatore di quanta acqua è stoccata nell’accumulo di neve in montagna, ha fatto registrare un ulteriore crollo del 64% rispetto alla media del 2011-2022. Un dato che si attestava al -39% solo un mese prima.
Nelle ultime rilevazioni che sono state effettuate il 13 febbraio sui rilievi, la quantità in metri cubi di neve era di 3,74 miliardi, mentre l’anno precedente il dato era di 5,63 mld m3. A causare questo “disavanzo” di neve è il clima sempre più mite e secco, come ha avuto modo di spiegare il ricercatore, Francesco Avanzi, che lavora presso la Fondazione CIMA.
“Secondo le nostre stime – ha spiegato l’esperto – hanno portato a una fusione anticipata dell’ordine di 1 miliardo di metri cubi di acqua in neve nella seconda metà di gennaio. Purtroppo, la scarsità di neve ha caratterizzato i nostri monti per tutti gli ultimi tre anni”. I dati più drammatici si sono registrati negli appennini dove la stagione della neve di fatto non c’è stata. L’ultima nevicata significativa risale a novembre 2023.
Se l’appennino piange, non ride di certo il sud Italia dove la secca dei fiumi è ormai diventata cronica, facendo crescere sempre di più lo spauracchio della siccità quando ormai la primavera è alle porte. La situazione drammatica può essere sintetizzata dalla secca del fiume Simeto, il principale della Sicilia orientale, dove si è registrato un deficit del -61% “perché dopo le prime nevicate di gennaio il rialzo delle temperature ha portato a una fusione precoce della neve”, come ha spiegato Avanzi. “La neve di quest’area è solo una piccola parte di quella del territorio nazionale, ma è indice di una siccità generalizzata per la Sicilia”. Non a caso, lo scorso 20 febbraio, la regione Sicilia ha dichiarato lo stato di crisi per la siccità.
Una situazione che mette a rischio l’intero comparto agricolo che è il fiore all’occhiello di molte province siciliane e che rischia di andare incontro ad una battuta d’arresto pesantissima. Le piogge di fine febbraio hanno soltanto lenito il problema senza risolverlo in maniera adeguata. Le dighe siciliane hanno fatto registrare un deficit del 23 per cento di acqua rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo le ultime rilevazioni dell’autorità regionale di bacino, il deficit di acqua sarebbe addirittura di 90 milioni di metri cubi.
Situazione allarmante anche nella diga Castello, nell’Agrigentino, la cui portata ha fatto registrare una flessione da 17 a 8 milioni di metri cubi. Si tratta di una diga che serve 14 Comuni della provincia di Agrigento.
Al Nord va un po’ meglio, anche se la situazione rimane critica. L’arco alpino ha fatto segnare un deficit di acqua eloquente (-53%) analogo a quello di questo periodo del 2023. Considerando il bacino del Po’, la secca si attesta al -63%. Il fiume Po’ rappresenta la prima fonte di acqua per la Pianura Padana, sia per quanto concerne l’agricoltura che per quanto concerne l’energia.