Lo studio pubblicato su “Renewable Energy” ha smentito clamorosamente la presunta neutralità dell’industria del pellet: ecco i dati allarmanti
Il pellet, e il suo processo di produzione, emetterebbe una grande quantità di sostanze inquinanti in atmosfera per un valore che supererebbe di quasi tre volte quello rilasciato dagli impianti a combustibili fossili tradizionali. E’ questa la conclusione sconfortante alla quale è giunta una recente ricerca pubblicata sulla nota rivista scientifica, “Renewable Energy”.
Dalla ricerca si evince come gli impianti a biomassa legnosa degli Stati Uniti siano in grado di inquinare come gli impianti funzionanti a petrolio e carbone. Dalla combustione di pellet in legno per fini energetici, come viene riportato nello stesso studio scientifico, verrebbe immessa in atmosfera un’ampia gamma di sostanze inquinanti tra le quali anche la diossina e il particolato, sostanze che rappresentano una seria minaccia per la salute umana.
Sotto accusa anche il processo di produzione dei pellet, capace di produrre migliaia di tonnellate di inquinanti atmosferici tossici, con impatto devastante soprattutto sulla salute delle persone che vivono nei luoghi in prossimità agli impianti di pellet.
Secondo i dati drammatici contenuti nella ricerca in questione, solo negli Stati Uniti la combustione di biomassa forestale contribuirebbe fino al 17% di tutte le emissioni inquinanti, nonostante rappresenti solo l’1,3% della produzione energetica totale. Questi dati eloquenti non sono stati commentanti dall’Associazione statunitense del pellet industriale che sul proprio sito continua a diffondere dati errati che propagandano l’industria del pellet come “neutrale” in fatto di emissioni.
La loro tesi è che le foreste tagliate sono in grado di rigenerarsi nel tempo, sequestrando il carbonio emesso. In realtà la tanto decantata neutralità climatica si raggiungerebbe soltanto qualora le foreste tagliate per ricavare pellet non venissero ulteriormente sfruttate per almeno un secolo.
Nonostante questi dai piuttosto eloquenti, le istituzioni continuano ad erogare fondi senza soluzione di continuità al settore della combustione di biomasse. Lo scorso anno, il Servizio Forestale degli Stati Uniti, ha stanziato circa 10 milioni di dollari per finanziare progetti pilota di combustione di biomasse in Alaska, California, Washington, Colorado, Kentucky, New Hampshire e Virginia.
Una decisione che sarebbe il frutto di un lavoro subdolo effettuato da alcune potenti lobby legate all’industria del pellet sul Congresso degli Stati Uniti. Su tutte Enviva e Drax, due colossi che gestiscono una dozzina di impianti nel sud-est degli Stati Uniti.
Non è di certo più rosea la situazione nel Vecchio Continente, dove la combustione di biomassa riceve annualmente lauti finanziamenti. Basta pensare che nella sola Ue, la combustione della biomassa per la produzione di energia, vale circa il 60% del totale delle energie rinnovabili. Non è un caso che l’Europa oggi sia considerata il mercato mondiale di pellet in legno per eccellenza.
L’allarme degli scienziati finora è rimasto inascoltato, per questo motivo gli ambientalisti hanno deciso di scendere sul piede di guerra per contrastare un settore dannoso per l’inquinamento e l’ecosistema. Forest Defenders Alliance, una associazione che include più di 100 ONG, ha presentato una petizione per chiedere all’Europa di rivedere la Direttiva sulle energie rinnovabili per revocarne i sussidi.