Ormai più di un anno fa ci è capitato di trattare l’argomento KiteGen, ai tempi con toni incantati, entusiastici, nella profonda convinzione di trovarci di fronte a qualcosa davvero in grado di cambiare il mondo. Purtroppo da allora niente di stravolgente è successo, le critiche al progetto si sono moltiplicate, gli investitori sono scappati a gambe levate, il che ci ha obbligato a riconsiderare in modo più disincantato la questione. Ecco il perché di questo titolo provocatorio. Ma andiamo con ordine.
Questa tecnologia si propone di utilizzare un oggetto banale come un aquilone per sfruttare le correnti d’aria in alta quota, e con il suo volteggio produrre energia elettrica. Il principio, spiegato in questo modo quasi naif, sembra fin troppo semplice, e per questo l’idea in sé risulta ancora più geniale. Cerchiamo di capire perché.
Innanzitutto, non serve una laurea in ingegneria aerospaziale per capire che ad alta quota le correnti sono molto più forti. Ma quanto più forti? Per rendere l’idea, a una quota di 800m il vento soffia a una velocità media di 7,2 m/s, contro i 4,6 m/s ad un’altezza di circa 80m. La differenza può sembrare non significativa, ma se invece ragioniamo in termini di “potenza specifica del vento” (quella sfruttabile, per intenderci) si passa da una 50ina di W/m2 a bassa quota contro i 200 W/m2 a 800m di altezza. Se poi si sale addirittura a 2.000m (un’altezza tranquillamente alla portata di KiteGen, secondo quanto dicono gli sviluppatori) la potenza specifica sale a 600 W/m2.
Questi venti, oltre a essere più forti, sono anche statisticamente molto più frequenti: il numero di ore di vento sfruttabile è stimato intorno alle 7.000 ore annue (su 8.760 ore totali), contro le 1.600-2.000 ore di funzionamento di una pala eolica “tradizionale”. Questo si traduce in un load factorsignificativamente più elevato. Per i più “profani”, significa banalmente che questo sistema è in grado di funzionare potenzialmente 24 ore su 24.
L’altra faccia della medaglia è che in realtà tutte queste sono supposizioni, perché ben poco si conosce in realtà sui venti d’alta quota, su quanto possano essere sfruttati e addirittura SE possano essere sfruttati. Uno studio dell’autorevole Istituto Max Planck di Jena, infatti, metterebbe addirittura in discussione l’effettiva sfruttabilità di questi venti, in quanto una perturbazione del loro equilibrio da parte dell’uomo potrebbe anzi creare danni catastrofici. Il vento ad alta quota si muoverebbe infatti senza attrito, senza quindi necessità di “recuperare” l’energia estratta da altre zone di vento: non si conoscono quindi le conseguenze di un’estrazione di energia a livelli massicci.
Ad ogni modo, secondo quanto affermano (ormai da anni) gli sviluppatori, KiteGen sarebbe virtualmente in grado di produrre energia elettrica su grande scala e in maniera continuativa. A livello industriale, la dimensione di KiteGen dovrebbe attestarsi su una capacità produttiva di 3MW.
Per poter capire meglio che cosa questo significa, facciamo un esempio facile facile:
Esempio: eolico vs. KiteGen* |
Vestas 126-3MW |
KiteGen |
Potenza nominale |
3MW |
3MW |
Ore di funzionamento (anno) |
1.800 |
6.000 |
Energia prodotta |
5.400 MWh |
18.000 MWh |
* Il calcolo è esclusivamente a scopo esemplificativo e prescinde dalle misurazioni empiriche.
Da quello che abbiamo detto finora, già si intuisce che potremmo trovarci di fronte a una tecnologia decisamente disruptive, ma che presenta già in fase di prototipazione alcune criticità concettuali.
Prima fra tutte, emerge chiaro anche da progetti simili che non siamo al momento in grado di dire se, in che modo, e con quali conseguenze è possibile andare a sfruttare su larga scala i venti d’alta quota.
Inoltre, noi uomini di formazione economica non possiamo non sollevare la questione finanziaria.Quanto costa questa meraviglia? Nessuno lo sa! O meglio, è da una decina d’anni che gli sviluppatori stanno lavorando su questo progetto, e siamo tutt’ora in fase di prototipazione. Ad oggi continuano a esserci dubbi su quanto tempo sarà ancora necessario per poter arrivare a una produzione su scala commerciale. Di conseguenza, siamo costretti a guardare con un po’ di scetticismo alle stime di costo di produzione che oggi ci vengono presentate come competitive rispetto alle fonti fossili.
Infine, l’idea di avere centinaia di aquiloni di 150 m2 cadauno che volteggiano a 1.000 m di altezza sopra le nostre teste, solleva la questione “spazio”: dove lo mettiamo? Lo “spazio”, infatti, che gli sviluppatori pongono come uno dei loro principali punti a favore, in quanto la base del KiteGen (il cosiddetto “igloo”) ha un diametro di circa 13m, non tiene conto dei 1.000m di cavo e dell’area spazzata dall’aquilone nel suo volteggio. Se per di più si aggiungono anche le possibili difficoltà burocratiche (che in Italia ci sono sempre), soprattutto per quanto riguarda l’autorizzazione e l’individuazione di siti idonei, probabilmente la situazione si fa decisamente più complessa.
In conclusione, a svariati anni dall’avvio del progetto continuano a essere numerose le luci e (soprattutto) le ombre su questa tecnologia, che invece all’estero sembra attecchire con meno difficoltà, come purtroppo accade troppo spesso nel nostro Paese.
Da bambini che hanno passato la loro infanzia a giocare con gli aquiloni, ci piacerebbe molto veder volteggiare KiteGen per produrre energia elettrica, ma man mano che il tempo passa questa tecnologia sembra sempre più condannata a rimanere un sogno irrealizzabile. Non ci resta che sperare nei colleghi americani.
Nel frattempo ai bambini resterà comunque la gioia di giocare con i loro aquiloni.
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