Sono almeno 227 gli ambientalisti assassinati nel 2020. Un numero drammatico che ha superato un record funesto. La maggior parte delle persone sono state uccise in America Latina dove erano impegnate contro la deforestazione. Un terzo di questi militanti apparteneva alle popolazione autoctone.
E’ quanto denuncia l’l’ONG Global Witness, che dal 2012 promuove il rapporto “Last Line on defence – The industries causing the climate crisis and attacks against land and environmental defenders” sulle violenze subite da chi difende la natura.
Secondo i dati, la Colombia per la seconda volta, è il primo paese con 65 attivisti uccisi nel 2020, morti per difendere la natura. Seguono il Messico (30), Filippine (29), Brasile (20), Honduras (17) e altri dodici paesi.
“Ben tre attacchi su quattro” si sono verificati in America Centrale o in America Latina. Dichiara la Global Witness, sottolineando che si tratta di un numero drammaticamente in aumento dal 2018. Nel 70% dei casi, le vittime erano impegnate contro la deforestazione. In Brasile e Perù, un 30% degli omicidi è riconducibile allo sfruttamento delle risorse come disboscamento, estrazione mineraria e agroindustria su larga scala, dighe idroelettriche e altre infrastrutture.
“Noi indigeni, sappiamo che l’ambiente è la sorgente della nostra vita”, commenta Celia Umenza, della tribù Nasa, che combatte contro la deforestazione, le monocolture e lo sfruttamento illegale del suolo per l’estrazione mineraria al sud ovest della Colombia nella regione di Cauca. Umenza è sopravvissuta a tre attacchi.
Crisi climatica e ambientalisti uccisi
Global Witness evidenzia che si tratta di dati funesti tragicamente in aumento negli ultimi tre anni passando da 167 omicidi nel 2018 a 212 vittime nel 2019 per superare gli oltre 227 ambientalisti assassinati.
L’Ong ha acceso i riflettori sulle “industrie che sono le cause della crisi climatica e degli attacchi contro i militanti ambientalisti”.
“Proprio come gli impatti della crisi climatica, gli impatti della violenza contro i difensori del territorio e dell’ambiente non si fanno sentire in modo uniforme in tutto il mondo. Il Sud del mondo sta subendo le conseguenze più immediate del riscaldamento globale su tutti i fronti e nel 2020 tutte le 227 uccisioni di difensori registrate, tranne una, sono avvenute nei Paesi del Sud del mondo. Il numero sproporzionato di attacchi contro le popolazioni indigene è continuato, con oltre un terzo di tutti gli attacchi mortali rivolti alle popolazioni indigene, anche se le comunità indigene costituiscono solo il 5% della popolazione mondiale. Le popolazioni indigene sono state anche il bersaglio di 5 delle 7 uccisioni di massa registrate nel 2020”. Scrive la Global Witness.
“La richiesta di un profitto sempre più crescente al costo più basso si traduce nell’eliminazione di chi si oppone ai progetti”. Chiosa lo scrittore Bill McKibben, ambientalista americano. McKibben ha ricordato che “i difensori sono a rischio perché si trovano a vivere sopra o vicino a qualcosa che alcune società richiedono. Quella richiesta – la richiesta del massimo profitto possibile, la tempistica più rapida possibile, l’operazione più economica possibile – sembra tradursi alla fine nella comprensione che il piantagrane deve fare una brutta fine”.
Il profitto uccide l’ambiente e gli ambientalisti
“Molte imprese si impegnano in un modello economico estrattivo che privilegia in modo schiacciante il profitto rispetto ai diritti umani e all’ambiente. Questo inspiegabile potere aziendale è la forza sottostante che non solo ci ha portato sull’orlo della crisi climatica, ma che ha continuato a perpetuare l’uccisione dei difensori”.
E’ il commento della Ong, sottolineando che “in troppi Paesi, ricchi di risorse naturali e biodiversità essenziale per il clima, le imprese operano con quasi totale impunità. Poiché l’equilibrio del potere è a favore delle corporation, è raro che qualcuno venga arrestato o portato in tribunale per aver ucciso dei difensori. Quando avviene, di solito è chi preme il grilletto, quelli che detengono le pistole, non quelli che potrebbero essere altrimenti implicati, direttamente o indirettamente, nel crimine”.
Diritto umano e ambiente
L’Ong invita le Nazioni Uniti a “riconoscere formalmente il diritto umano a un ambiente sicuro, sano e sostenibile”.
“Con l’intensificarsi della crisi climatica, aumenta anche il suo impatto sulle persone, compresi i difensori del territorio e dell’ambiente. Un’azione significativa per il clima richiede la protezione dei difensori e viceversa. Senza un cambiamento significativo, questa situazione potrebbe solo peggiorare. I governi possono invertire le sorti della crisi climatica e proteggere i diritti umani proteggendo la società civile e approvando leggi che ritengano le società responsabili delle loro azioni e profitti”. Viene scritto nel rapporto.
La stessa Ong ricorda che la Commissione europea sta per varare una normativa vincolante in materia tra cui un’iniziativa sulla governance aziendale sostenibile.
In quest’ottica, l’Ue “deve garantire che questa iniziativa richieda a tutte le imprese che operano nell’Ue, comprese le istituzioni finanziarie, di identificare e affrontare i diritti umani e i danni ambientali lungo le loro catene del valore. Questa legislazione deve includere solidi regimi di responsabilità e sanzioni per ritenere le companies responsabili per non averlo fatto”.
Proprio in questi giorni, a Marsiglia si è svolto un vertice in difesa delle popolazione indigene vittime della green economy. Nell’ambito del meeting diverse associazioni e ong hanno denunciato i rischi correlati alla transizione ecologica e alla nuova economia che punta alla natura e si ripercuote sulle popolazioni locali nel nome della conservazione.