Ascoltare il proprio cuore consente di comprendere meglio gli altri. Questo emerge da uno studio condotto all’Università di Oxford. Secondo la ricerca, le persone più consapevoli del loro battito cardiaco riescono a percepire meglio le emozioni della gente che li circonda…insomma sono più empatici! Questa scoperta apre importanti scenari nella comprensione dei disturbi associati ad alterazioni a carico delle funzioni sociali ed interocettive, in particolare l’autismo.
Uno studio, pubblicato su Cortex, mostra la correlazione esistente tra interocezione ed empatia. In base ai risultati del lavoro condotto da Punit Shah, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia dell’Anglia Ruskin University, i soggetti che sono in grado di percepire i segnali provenienti dall’interno del corpo (interocezione) hanno la capacità di comprendere gli stati emozionali altrui (empatia). Riuscire a percepire i segnali provenienti dall’interno del corpo, come sentire il proprio cuore battere nel petto, è un processo chiamato interocezione. Si tratta della capacità di sentire le sensazioni che originano dal nostro corpo, come il battito cardiaco o la pulsazione del sangue che circola all’interno dei vasi.
Per indagare su questa capacità Geoff Bird, ricercatore all’Università di Oxford, e la sua squadra hanno chiesto 72 volontari di contare i loro battiti cardiaci, ma senza usare le dita. I partecipanti hanno poi visto video di varie interazioni sociali e gli sono state poi poste alcune domande che hanno testato la loro capacità di dedurre gli stati mentali dei personaggi, come paura o altro. I partecipanti più bravi a contare il proprio battito cardiaco hanno risposto meglio, dimostrando maggiore empatia. Non erano però più bravi a rispondere a domande che non implicavano stati emotivi, suggerendo che la capacità di interpretare i segnali del nostro corpo ci aiuta a capire i pensieri altrui nel momento in cui l’emozione è un fattore determinante.
In base alle risposte date ai quesiti proposti, derivava un punteggio che costituiva un valido indice della capacità dei soggetti esaminati di entrare in empatia con i personaggi dei video. Tale punteggio veniva comparato con quello risultante da un gruppo di domande-controllo non riguardanti l’analisi degli stati emozionali dei personaggi.
Dalla comparazione dei singoli punteggi ottenuti nei due gruppi di domande con il MASC score (“Movie for the Assessment of Social Cognition”) globale, risulta che la capacità interocettiva è significativamente correlata solo alla performance sui quesiti riguardanti la rappresentazione degli stati emozionali dei personaggi. Questo pattern di risultati è stato, poi, posto in relazione ad alcuni parametri: età e sesso dei partecipanti, capacità di stimare il tempo e performance nelle domande-controllo.
I partecipanti più bravi a contare il proprio battito cardiaco hanno risposto correttamente alle domande oggetto dello studio, dimostrando dunque di essere più empatici. Questo risultato riguarda in particolare le domande sui contenuti emozionali emersi dalla visione dei video, indicando che l’abilità nel percepire i segnali provenienti dal corpo possa favorire la comprensione degli altri laddove tale comprensione riguarda un’emozione.
Le alterazioni a carico dell’interocezione rientrano tra le caratteristiche dei disturbi dello spettro autistico, nei quali i pazienti affetti mostrano tipicamente difficoltà nella gestione delle interazioni sociali e nella percezione delle emozioni. I ricercatori hanno ormai posto in evidenza le connessioni che sussistono tra la capacità di percepire gli stati mentali ed emozionali degli altri e l’attitudine all’interazione interpersonale e sociale.
Si tratta del modello noto come “Teoria della mente”, che fa risalire il deficit interpersonale e comunicativo dell’autismo ad una mancata comprensione degli stati mentali propri ed altrui.
La teoria della mente è incentrata sulla capacità di inferire gli stati mentali degli altri, ovvero i loro pensieri e desideri, le opinioni che traspaiono da gesti e comportamenti, le loro emozioni ed intenzioni, così da creare un filo che metta in collegamento ciascun individuo con l’altro e che permetta di interpretare ciò che gli altri dicono, dando significato e prevedendo i loro comportamenti.
È questo l’aspetto che viene a mancare nei soggetti con autismo, i quali non sono in grado di entrare in empatia e di interagire con gli altri, né di comprendere ed anticipare le loro azioni.
Punit Shah, da sempre interessato allo studio delle funzioni sociali e a come esse possano risultare alterate nei pazienti con disturbi dello spettro autistico, con alessitimia ed altri disordini del neurosviluppo, spiega come l’interocezione possa giocare un ruolo importante nella lettura e comprensione degli stati mentali ed emozionali propri e delle persone con le quali si interagisce.